sabato 17 aprile 2021

IL ROSSO E IL NERO

 
 
 

Stendhal

IL ROSSO E IL NERO
Feltrinelli
2013, brossura
568 pagine, 11 euro
 
 
Lo scrittore francese Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal (1783-1842), innamorato dell'Italia (come dimostrano "La certosa di Parma" e l'epigrafe sulla sua tomba a Montmartre, scritta in italiano: “Arrigo Beyle / Scrisse / Amò / Visse”), fu un contemporaneo di Manzoni. La prima edizione de "Il Rosso e il Nero" è del 1831, quella de "I promessi sposi" è del 1827. Se penso a come il romanzo italiano abbia faticato a trovare una sua strada, una sua lingua, mentre in Europa e negli Stati Uniti fioccavano romanzieri modernissimi, mi sorprendo sempre. In Francia avevano Balzac, che da solo ha scritto, a partire dal 1824, cento romanzi, più che godibili anche oggi. Noi, a parte Manzoni ("I promessi sposi" sono un capolavoro), che comunque non si può certo definire romanziere prolifico, fatichiamo a leggere i romanzi di D'Azeglio o del Guerrazzi. Meno male che a fine secolo arrivò Salgari. Un po' prima ci furono anche Verga, Capuana, De Roberto, ma insomma ci fu da aspettare la seconda (inoltrata) metà del secolo. Invece, ecco Stendhal che, mentre Manzoni racconta la conversione dell'Innominato, fa mettere incinta a nobildonna Mathilde de la Mole dal bell'abatino Julien Sorel, segretario del marchese suo padre. Julien, prima di giungere a Parigi, aveva già intessuto a una tresca più che carnale con Madame de Rênal, moglie dei sindaco di Verrières, piccola cittadina (inventata dall'autore) della Franca Contea. Entrambe le relazioni, va detto, frutto di autentiche passioni scatenate e subite dal seminarista Julien e dalle sue amanti, in un turbinare di romantici sentimenti (intendendo per "romantico" come "tipico del romanticismo") che scuotono, travagliano, esaltano, fanno correre rischi mortali e perdere la ragione. Ma al di là del sesso (presente in Stendhal e assente in Manzoni, che non indaga neppure sulle pulsioni di don Rodrigo), la descrizione che lo scrittore francese fa della società francese dell'epoca e del momento storico suo contemporaneo, quello della Restaurazione post- napoleonica, è cinica e disincantata: si entra in seminario per far carriera, si punta ad avere parrocchie o diocesi con una buona rendita, così come si cercano di scalare i gradini della gerarchia militare o si ostentano le proprie rendite valutando le persone sulla base della ricchezza. Lo stesso Julien, che pure entra in seminario, non crede in Dio, o almeno spera, morendo, di non trovarsi di fronte quello vendicativo di cui parla la Bibbia. Sorel è di umili origini (figlio di un carpentiere di provincia, che lo maltratta e disprezza per il suo amore per i libri) e cerca di affrancarsi dalle sue umili condizioni in una una società dove da una parte i fautori della Restaurazione danno ancora importanza ai diritti di nascita, dall'altra i liberali, che hanno raccolto l'eredità della Rivoluzione Francese, danno importanza ai soldi. Julien vuole diventare qualcuno a dispetto della propria origine e della sua povertà, basandosi sulla sua intelligenza e sul suo talento. Divenuto istitutore dei figli in casa di Madame de Rênal, di cui diventa amante, scoperto nella sua relazione amorosa è costretto a chiudersi in seminario, rimpiangendo di non poter fare invece carriera militare (il Rosso è il colore delle divise dell'esercito, il Nero quello delle tonache religiose). Ma anche fra le pareti delle chiese e fra i fumi dell'incenso, cattiverie e sgambetti in ogni, intrighi e raggiri, lotte crudeli fra gesuiti e giansenisti. Il talento e la cultura (che si accresce lettura dopo lettura) di Julien lo conducono a Parigi, dove diventa segretario di un Marchese che si accorge delle sue doti: Stendhal è efficacissimo nel descrivere il passaggio fra il clima piccolo e becero della provincia e quello scintillante e ipocrita della capitale. Julien riesce a farsi strada nel mondo dei salotti, dei teatri, delle cospirazioni politiche e giunge sul punto di riuscire davvero a coronare i suoi sogni di gloria. Quando, però, Madame de Rênal... e qui non rivelo il finale, che a Stendhal venne ispirato da un fatto di cronaca realmente accaduto. "Non ho inventato niente", disse. In un passaggio del romanzo, l'autore si rivolge direttamente ai lettori giustificando la presenza, nel suo scritto, di tresche e trame poco edificanti. Usa questa metafora: lo scrittore è come uno specchio trasportato da qualcuno lungo una strada sconnessa e fangosa, lo specchio ondeggia e talvolta mostra il cielo, talvolta il pantano.

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