lunedì 9 novembre 2020

SULLE RIME DEL DON

 


 

Franco Gabici
SULLE RIME DEL DON
Edizioni Essegi
cartonato, 1996
300 pagine, 28000 lire


Don Anacleto Bendazzi, prete ravennate, fu uno dei più geniali autori italiani di giochi di parole. Talmente geniale che, per fare un esempio, se credete che la parola italiana più lunga sia precipitevolissimevolmente, di ventisei lettere, identificata nel 1677 da Francesco Moneti, vi sbagliate.
Don Anacleto ne ha trovate tre più estese: incontrovertibilissimamente,particolareggiatissimamente e anticostituzionalissimamente (di ventisette e ventotto lettere). E ancora, talmente geniale da aver scritto una “Vita di Cristo in mille anagrammi”. Uno è questo: “Nell'orto di Getsemani, - sento dolenti lagrime”.  La maggior parte dei giochi del Bendazzi sono contenuti in un libretto rarissimo, stampato in sole duemila copie, intitolato “Bizzarrie letterarie”. Il libro, pubblicato a spese dell’autore, risulta finito di stampare “il 15-1-‘51", una data scelta apposta perché palindroma (si legge anche da destra a sinistra) e ambigrammatica (si legge anche capovolgendo il sotto e il sopra). Sulla sua tomba, c'è l’epitaffio che don Anacleto si scrisse dice: Putredine - di un prete / storico di - Cristo Dio. Ovviamente, la seconda parte di ogni frase è l’anagramma della prima. Ma la cosa più incredibile è che Bendazzi è morto all'età di 99 anni (numero palindromo) in una data anch'essa palindroma e ambigrammatica, il 28-2-’82. Altro che madonnine che piangono sangue, sono questi i veri miracoli.
Franco Gabici ricostreuisce in questo suo libro la biografia di don Anacleto, e aggiunge tutta una serie di facezie, rime, annotazioni enigmistiche rimaste inedite. Senza dubbio Bendazzi fu un prete sui generis, che rifuggiva, per esempio, la confessione (all'inizio del suo apostolato, fuggì a gambe levate dal confessionale e mi più volle ritornarci), e non adatto alla cura di una parrocchia. Fu però così geniale nello studio delle lingue classiche e dell'ebraico, da fare l'insegnante per tutta la vita, e insegnante di quelli tosti. Entrò in corrispondenza con Giovanni Pascoli, anch'egli esimio latinista, per contestargli certe obiezioni aii suo componimenti in latino, e Pascoli si trovò a dargli ragione. Nella metrica latina e greca non conosceva rivali. Fu anche un cultore di fotografia e trovò il modo di ottenere scatti impossibili con giochi di specchi (uno celebre lo mostra al tavolo da lavoro, con su un vassoio la sua testa decapitata da una illusione ottica). Uno degli scritti ritrovati da Gabici risolve in modo assolutamente convincente il mistero del verso 43 dell'ultimo canto del Purgatorio, là dove Dante scrive (e nessuno sembra aver capito cosa voglia dire), "un cinquecento, un dieci e cinque; Messo di Dio". Mi chiedo se i dantisti si sono accorti che la spiegazione di don Anacleto è perfetta. In ogni caso, dopo aver messo le mani su "Sulle rime del don", la caccia è aperta per procurarsi "Bizzarrie letterarie", da tempo introvabile.

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